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Il frutto La storia Contenuto

Il fico d’india e’ originario dell’altopiano del Messico. Gli Atzechi lo chiamavano nopalli e lo consideravano, come il loro simbolo. Sembra che il nome fico d’india sia nato grazie a Cristoforo Colombo che credeva di aver gettato le ancore nelle Indie. Il frutto arriva in Europa con gli spagnoli verso la metà del 1500, proprio a seguito della conquista del nuovo mondo. Coltivata per lo più nelle miti regioni mediterranee, il fico d’india trovò condizioni ambientali ottimali: si diffuse velocemente  al punto da divenire uno degli elementi più comuni del paesaggio. Questa pianta rivoluzionò tutti i canoni vegetativi conosciuti all’epoca: infatti ha un tronco che non e’ tale, foglie che non sono foglie, spine che invece sono foglie, ed e’ praticamente eterno. La sua vocazione e’ quella di conquistare spazi aridi, la potenza delle sue radici stritola le rocce vulcaniche, per questo diventa frangivento in lunghe muraglie, ma anche guarda - confine dei campi, proprio per le sue spine e per quel suo crescere a segmenti imprevedibili, capaci di occludere lo spazio. Scientificamente appartiene alla famiglia delle Cactacee (Opunzia Ficus Indica) e’ una pianta a crescita molto rapida che può raggiungere i 3-5 metri di altezza, le cui radici sono generate dalle "foglie" carnose (le pale) che si sovrappongono, dando vita alla caratteristica forma dell’albero senza tronco e senza rami, che contraddistingue questo vero e proprio miracolo della natura.

La sua caratteristica peculiare e’ il "cladodio", cioè la pala, che in realtà e’ un otre che assolve la funzione di immagazzinamento dell’acqua e che determina l’adattabilità del fico d’india a condizioni di estrema siccità. La coltivazione del fico d’india e’ semplice perchè attecchisce facilmente e non richiede interventi onerosi, in fatto di terreno questa pianta non ha esigenze particolari, si adatta anche a quelli poveri e sassosi. Ancora oggi il fico d’india e’ coltivato allo stato naturale ed e’ uno dei pochi frutti sul quale non sono fatti trattamenti chimici. Una particolare tecnica per ottenere frutti grossi e saporiti consiste nell’eliminare dopo la fioritura buona parte dei frutticini allegati, i quali si riformeranno in autunno con caratteristiche qualitative eccezionali. Le principali cultivar prodotte in Italia sono: la gialla (o surfina o nostrale), l’88-90 % degli esemplari; la rossa (o sanguigna) che rappresenta circa il 10 % e la bianca (o muscaredda o sciannarina) che rappresenta il restante 2 % degli impianti specializzati.La raccolta dei primi frutti e’ effettuata ad agosto e quella dei tardivi puo’ protrarsi fino a tutto novembre. La raccolta destinata al mercato e’ eseguita a mano e con le dovute protezioni mentre i frutti vanno manipolati sempre con cura essendo molto sensibili. Nei magazzini di lavorazione essi vengono lavati e despinati prima di essere confezionati. Il processo di despinatura, necessario per presentare sui mercati i frutti in modo che risultino maneggiabili dai consumatori, si effettua oggi con apposite macchine che attraverso spazzolatura e aspirazione privano il frutto delle spine.A livello locale, a seconda delle tradizioni regionali, sono numerose le elaborazioni gastronomiche che si possono ottenere con la polpa del fico d’india, oltre alla classica marmellata e al gelato. Si puo’ produrre un "estratto", consistente in un liquido sciropposo, i "mostaccioli", ottenuti dal succo ristretto per ebollizione cui si aggiungono farina di semola e aromi, la "mostarda", preparata in modo analogo ma addizionata di succo d’uva e che puo’ essere conservata anche attraverso canditi.